"Io e Franca siamo sempre stati legati alla cronaca, a cosa succede ogni giorno. E come le abbiamo sempre rappresentate? Con la chiave fondamentale di quello che è il teatro dell’arte".
Dopo alcuni anni di assenza dai palcoscenici, torna la coppia più celebre del teatro contemporaneo. Saranno a Milano al Teatro Nuovo solo dal 4 al 16 gennaio Dario Fo e Franca Rame con una scelta di brani tratti da Mistero Buffo e da altri monologhi del loro enciclopedico repertorio. Regista, drammaturgo, attore, pittore e scenografo, perfino cantante, divertente ma ingiurioso, umorista con sarcasmo, geniale ma non compreso fino in fondo, Dario Fo ancora oggi è uno dei nostri più geniali artisti viventi e, con la moglie di una vita, Franca Rame, forma la coppia più amata da un pubblico colto, coraggioso, che non teme di assistere a qualsiasi loro rappresentazione.
Da giovane, negli anni ’50, ebbe successo in radio e televisione ma il suo spirito faceva paura a un Paese troppo borghese per accettare la satira vera e spontanea, così la coppia di artisti scelse di entrare nelle fabbriche, andare in piazza, esibirsi per tutti pur di trasmettere messaggi sociali intelligenti e fantasiosi. Dario Fo ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1997 e nel 2007 un sondaggio svolto in Gran Bretagna da un quotidiano lo ha posto al 7° posto in una elenco di 100 geni viventi. Qualcuno lo avrebbe voluto sindaco di Milano ma il potere sembra restargli alla larga. L’ho intervistato per voi ed ecco le sue parole.
Come mai è voluto tornare sul palcoscenico di Milano?
Perché abbiamo qualcosa in mente. L’idea era questa: mettendo a posto dei testi e guardando registrazioni e filmati, ci siamo resi conto che ci sono un sacco di cose che noi abbiamo dimenticato perché sono state fatte magari una volta, 45 anni fa... E’ una cosa che fa paura, abbiamo trovato storie che hanno un senso di attualità incredibile. E allora abbiamo detto: “Ma perché non facciamo tutto daccapo e ci presentiamo con questi testi misconosciuti che la gente ha dimenticato e aggiungiamo anche dei pezzi classici che non vengono portati sul palcoscenico da 25 anni, 30 anni?”.
Però! C’è ancora tanto materiale inedito? Si riferisce a Mistero Buffo?
Sì. Esattamente 41 anni fa andammo in scena per la prima volta qui a Milano con Mistero Buffo. Era il 1969 e recitavamo in un capannone dalle parti di Porta Romana che noi avevamo trasformato in una sala di teatro, con il nostro gruppo. Franca ed io ci alternavamo eseguendo monologhi di tradizione popolare tratti da giullarate e fabliaux del medioevo, non solo italiane ma provenienti da tutta Europa. Lo spettacolo ottenne grande successo nel nostro teatro di via Colletta, in palazzetti dello sport, chiese sconsacrate, locali cinematografici, in balere e perfino in teatri normali. Mistero Buffo cercava di dimostrare che esiste un teatro popolare di grande valore, espressione della cultura dominante. Debuttando anche fuori dall’Italia, dall’Inghilterra alla Spagna, fino in Grecia e in Russia, abbiamo rintracciato brani del tutto sconosciuti, raccolti da ricercatori di Paesi e culture diverse. Noi li mettevamo in scena quasi a soggetto. Il testo definitivo lo si stendeva solo dopo averlo recitato per mesi interi. Abbiamo ritrovato canovacci rappresentati secoli fa dai comici dell’arte soprattutto in Francia, brani recitati da Arlecchino e da altre maschere e, in seguito a un nostro viaggio in Cina, siamo riusciti ad arricchire il nostro repertorio anche con la ‘Storia della tigre’. Recitando a Roma nello chapiteau di un circo viaggiante, ci siamo resi conto che la mole del testo di 'Mistero Buffo' si era ormai decuplicato. Per riuscire a misurarne la dimensione, abbiamo recitato ogni sera uno spettacolo con testi completamente differenti. Così si è arrivati a mettere in scena ben sei ‘Misteri Buffi’. Ma se oggi dovessimo riprovarci, di certo la sequenza delle nostre esibizioni raggiungerebbe il numero di dieci e più testi autonomi.
Ma cosa avete fatto, nel frattempo? Senza teatri, intendo.
Ogni tanto mi capita di essere invitato così, all’Università, a fare un percorso di teatro e recito così, pezzi che ormai sono fuori dalla memoria del mondo. Mi succede anche di vederli recitati, che so, in tedesco, in inglese, in francese, quando viaggio e ci sono delle compagnie che girano con ‘Mistero Buffo’. C’è stato un momento in cui c’erano 400 compagnie nell’universo, ah ah, nell’universo-mondo, che ne hanno recitato diversi pezzi. Addirittura degli spettacoli di 2 ore, di 3 ore. Ultimamente in Francia c’è stata la Comedie Française che ha messo in scena un ‘Mistero Buffo’ con la bellezza di 25 personaggi dentro, cioè l’hanno sceneggiato e hanno messo esecutori singoli che facevano una parte solo e poi ce n’era un altro subito dopo. E hanno avuto un notevole successo.
E’ vero che è molto rappresentato nel mondo?
Sì, in questo momento in America ci sono molte compagnie che lo usano, in Inghilterra ce ne sono due... cioè ‘Mistero Buffo’ è un testo che, insieme a ‘Morte accidentale di un anarchico’, ‘Clacson, trombette e pernacchi’ ed altri, continua ad essere recitato. Ma non per una piccola stagione: magari per 3 anni, 5 anni. Pensa che ‘Clacson, trombette e pernacchi’, in Inghilterra, ha tenuto pontone, come si dice, per la bellezza di 7 anni. Poi c’è stata subito un’altra compagnia che ha preso la palla al balzo e si è messa a recitarlo ed è su ancora adesso.
Ma ora, al Teatro Nuovo, che farete?
Per quanto riguarda i testi che vado a recitare, è chiaro: io e Franca siamo sempre stati legati alla cronaca, a cosa succede ogni giorno, a cosa riportano i giornali, gli avvenimenti, le cose sballate, sbilenche, drammatiche anche. E come le abbiamo sempre rappresentate? Con la chiave fondamentale di quello che è il teatro del’arte, da secoli e secoli e non solo la commedia dell’arte ma andando giù, verso i greci della satira, del grottesco. E dopo quelli, Aristofane per primo, che hanno sempre rappresentato il momento tragico nella storia dell’manità e hanno messo a fuoco situazioni che sono straordinarie, ma tutte tragiche.
Ad esempio?
Ad esempio, uno dei pezzi più importanti è stato ‘Le donne al parlamento’, un testo fondamentale del teatro delle origini e a che cosa è dovuto? A una tragedia incredibile, cioè: tutta la popolazione maschile valida di Atene è stata uccisa, distrutta, massacrata. Dove, come? C’era stata una spedizione importante in Sicilia, a Siracusa che i greci avevano cercato di occupare perché era il centro nevralgico di tutta la conquista della Sicilia. Il controllo di quel popolo rappresentava l’ottenimento di ricchezze incredibili, una sicura economia. Ebbene gli andò male. Gli si erano messe contro tutte le altre città della Sicilia e anche eserciti gestiti da altri greci che non vedevano di buon occhio questa azione da parte degli ateniesi. E fra le battaglie, gli scontri e poi la fuga, alla fine, gli ateniesi hanno dovuto prendere le loro navi mentre venivano rincorsi. Fatto sta che quelle navi sono arrivate al porto di Atene vuote: erano stati tutti massacrati. Quanti erano? C’è chi dice 18 mila maschi, c’è chi dice come minimo 11 mila. Ma erano tutti maschi e restava il problema di riprodurre la popolazione ma ancora prima di gestire le cose, ci voleva chi ricoprisse il potere… e solo le donne erano in grado di poterlo fare. Ed ecco che nasce questa idea di mettere le donne al Parlamento, Aristofane ne fa un testo spassosissimo, pieno di cattiveria, di ironia, non misogino, non era contro le donne, anzi, fatto di grande rispetto e affetto. Fatto sta che questo testo è stato bloccato perché determinava disperazione, negatività. La satira è sempre stata guardata dal potere come qualcosa di osceno, perché determina il ripensamento della gente: la gente fa mente locale alle situazioni che vive e questa è la ragione che la rende molto pericolosa per il potere.
Ci saranno dei cambiamenti, delle improvvisazioni?
Purtroppo non abbiamo molto giorni a disposizione per fare tanti cambi: abbiamo solo un paio di settimane in Teatro, poi abbiamo altri appuntamenti. Io devo andare a tenere una lezione di tre giorni al Politecnico di Milano sul rapportl fra Teatro e Architettura. E subito dopo si comincia a fare altro lavoro. Ma mi serve questo periodo di fronte al pubblico di Milano, tutto il nostro teatro è nato qua e perché ho la possibilità di riprendere la chiave. Io recito si può dire ogni tre giorni, ma sono lezioni, sono incontri con gli scolari, con gente di diverse facoltà. Vado a dibattiti dove non avete neanche idea… Come quello sulle stelle, il cielo, argomenti sul futuro del mondo e del cielo, con scienziati che arrivano da tutto il mondo e sono invitato a dibattere con loro. Io porto argomenti in forma grottesca ma anche scientifica sulla vita del nostro pianeta.
Interessante... Ma quante cose fa, quando non recita?
Negli ultimi tempi è successo che ho scritto 13 libri sui grandi pittori italiani, anche grandi architetti e chiese molto importanti, come il Duomo di Modena. Per fare questi lavori, Giotto, Michelangelo e via dicendo, non potevo farli di corsa. Sono già arrivato al massimo: due all’anno! Ogni anno facevo due di questi lavori: dovevo prepararli, scriverli, metterci tutte le immagini... micidiale. Ho disegnato migliaia di tavole per poter illustrare tutte le cose che ho fatto. Non contento, ho scritto anche 6 libri, che ho dovuto presentare al pubblico come ho fatto con lo spettacolo, ma non solo. Ho recitato nelle università e ho riprese le scene per la televisione. La televisione italiana ha prese quasi tutto, salvo le ultime due opere su cui ha messo una sorta di censura, di blocco, dicendo che non aveva il denaro, non aveva i mezzi, ma era pretestuale.
Fantastico. Altro?
Ora sto facendo qualcosa che riprenderò anche all’aperto, è una lezione che diventerà un DVD, un libro e la sua rappresentazione. Il che mi ha dato la possibilità di attirare l’attenzione. Per quanto ci sono La Repubblica e L’Espresso che hanno pubblicato la bellezza di 50 DVD in un anno, un anno fa, il significa che ci sono state centinaia di migliaia di persone, milioni di persone ad aver acquistato e naturalmente fatto girare questi lavori.
Certo, perciò si spiega come nel 2005 l’abbiano insignita di una laurea honoris causa all'Università della Sorbona di Parigi mentre l'anno dopo, nel 2006, la stessa onorificenza gli è stata assegnata dall’Università La Sapienza di Roma. Lei è l'unico in Italia ad averla ottenuta, assieme a Luigi Pirandello e a Eduardo de Filippo. Cosa prova davanti ai giovani studenti?
Una delle cose che mi meraviglia molto, specie quando vado all’università, è accorgermi che questi ragazzi conoscono tutto di me del mio teatro. Perché si sono informati eppure non mi hanno mai visto dal vero! Infatti, quando vado lì, in università, c’è sempre casino perché c’è gente che non riesce a entrare… Ultimamente sono stato in Umbria e sono cose che mi danno gran gioia perché ho trovato un altro modo per essere in contatto con la gente. Ma adesso voglio tornare a teatro.
Crede possibile essere d’aiuto, col teatro?
Il teatro è uno dei mezzi fondamentali. Guardiamo anche i grandi del cinema, come Chaplin, che ha preso addirittura lo Chapiteau, il circo.
Per tradizione tutti venivano da lì. Quindi lui ha usato il teatro più antico, addirittura quello della strada, della piazza per realizzare dei film che sono passati alla storia della cultura del mondo. La satira è la forma che ti permette di giocare anche col passato. Anzi, posso prendere anche pretesti esterni, come ho fatto a ‘Vieni via con me’, dove ho presentato un brano tratto da un pensatore, grande personaggio della storia italiana: Macchiavelli. I consigli di Machiavelli al Principe è stato un pezzo di soli 10 minuti ma ha suscitato un interesse straordinario e su YouTube, quella sera, c’erano 40 registrazioni, cioè ognuno si è fatto una registrazione e l’ha messa online, una fila incredibile. E questo ti fa capire quanta attenzione abbia la gente per il gioco della trasposizione: io ti racconto una storia antica, uso un linguaggio antico, uso un pensiero antico per farti capire che nulla è passato, che nulla si è trasformato, che siamo sempre, ancora con piccoli, stessi problemi. Perché? Perché il fatto maggiormente negativo, negli uomini, è la mancanza di conoscenza. L’uomo... siamo in un periodo in cui si dice ‘Quello è un uomo informato, un popolo informato’. Noi invece siamo sempre più disinformati. La cultura oggi è la disinformazione, una macchina che distrugge completamente il sapere e l’essere nella dimensione umana. “Io so, quindi sono”.
E come si fa a reagire?
Ecco che il matto insiste quando Gesù dice “No, io devo morire sulla croce per salvare l’umanità”, allora il matto va fuori di testa, è il caso di dire e grida “E’ pazzo, è lui il pazzo, non io pazzo sono. Io sono normale, è lui che è pazzo” e così via. Oggi appunto ci vuole un altro pazzo che racconti la storia. Noi cerchiamo di fare una cosa simile per raccontare i fatti paradossali che avvengono, come quello di farsi mettere in vendita. Qualcuno dice che c’è un Giuda in ogni uomo politico: “…io ti do un’altra posizione, un altro vantaggio e tu ti tiri via, ti tiri fuori…”.
Insomma, come andrà a finire?
Il futuro? Bisogna essere degli stregoni... Nulla è fatto con una logica, una disciplina, un’onestà. E quando c’è enorme disonestà, è difficile immaginarsi dove si andrà a finire. A meno che la gente non si muova, ma i politici purtroppo non sono degni di guidarci. La gente non ha di che arrivare alla fine del mese, i giovani non hanno lavoro, ma si trovano soldi per i privati mentre per i pubblici, niente. C’è gente che ha la laurea da anni e fa mestieri sgradevoli, umili per loro e per la società che costringe ad arrivare a questo punto.
Torniamo allo spettacolo. Il Mistero era quello della fede, vero? Un rito? Perché ‘buffo’?
Non bisogna mai dimenticarsi che la messa è una ritualità, è un momento di grande comicità ma con misura, perfino al confine con l’oscenità. In passato c’era un modo di trattare il riso nella chiesa, mentre oggi la chiesa è molto sobria, lineare, senza suoni che non siano quelli classici e, per vedere un po’ i colore, bisogna andare nelle chiese d’Afriche. E’ la festosità che Dio deve portare all’uomo, non la costrizione, non il lamento, non mettere nelle teste il senso del peccato ma la giocondità, la gioia anche sessuale. Il ‘Mistero Buffo’ era il mistero, ovvero la rappresentazione sacra, mentre buffo era, un tempo, il luogo dove si trovava la gioia, la risata. Come in un canto apocrifo dove Gesù invita alla danza, con un abbassamento dei toni della sacralità e creando leggerezza dell’essere.